2
" «Proprio un elfo snob doveva toccarmi in sorte?» le rispose divertito. «Allora, non mi rimane altra scelta che portarti in campeggio, prima o poi, o in canoa o a fare una nuotata nel lago.»
Lei lo fissò con la sua più riuscita espressione Scordartelo disegnata sul volto.
«Puoi guardarmi come vuoi, ma mai dire mai» ridacchiò lui.
«Oh, invece mai è una delle mie parole preferite.»
«Scommetto che ti piacerebbe…»
«Cosa?»
«Il campeggio. Le stelle, il silenzio, le foglie che mormorano al vento, sai, quelle cose lì.»
«Per non parlare di orsi, insetti e magari di qualche serpente che ha perso la strada di casa. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Sono un elfo cittadino a tutti gli effetti e ho il terrore di tutto ciò che si muove e che non sia addomesticabile.»
Lui la fissò con aria divertita. «Incluso il sottoscritto?»
Le si era avvicinato troppo e ora la fissava come se volesse divorarla, in modo così sfacciato che, per puro istinto di sopravvivenza, arretrò di un passo. Non abbassò lo sguardo ma per qualche attimo non seppe cosa rispondergli. Non che avesse dubbi che la categoria esseri viventi non addomesticabili e pericolosi includesse anche lui, almeno a dar retta a tutte quelle farfalle che le svolazzavano nello stomaco, ma come avrebbe potuto rispondergli sì? Così gli sorrise a sua volta, pronta all’ennesima bugia.
«Sono convinta, predatore, che tu, nonostante i grugniti e i continui brontolii e la tua probabile parentela con un grizzly, sia molto addomesticabile.»
Lui alzò un sopracciglio, con un’espressione da schiaffi da premio Oscar. "
― Viviana Giorgi , E infine la Bestia incontrò Bella
3
" Fiona ritorna a Cape Love dopo undici anni, scrittrice di successo e con una bambina di dieci anni a carico...
Quell’uomo era un coach, no?, quindi era normale che avesse un fisico coi fiocchi.
Con un sospiro Fiona continuò la perlustrazione. Lo sconosciuto aveva anche de bei capelli castano chiari che si arricciavano appena sul collo, abbronzato e forte.
Per un attimo, come in un déjas vu, ebbe la sensazione di aver accarezzato quei capelli, mentre quelle braccia forti la stringevano e quei fianchi stretti si muovevano contro di lei. Dentro di lei.
Naaa.
Solo un uomo, a CapeLove, l’aveva avuta, e quell’uomo – il fottutissimo bastardo di cui sopra - ora si trovava a Manhattan.
Vide l’allenatore chinarsi verso Rachel ed ascoltarla con attenzione. Poi, con un senso di ansia crescente, lo seguì mentre si girava con lentezza impossibile e seguiva il punto che Rachel gli indicava con la mano.
Quel punto era lei.
Di colpo si sentì proiettata in avanti, senza cintura di sicurezza, come se il mondo all’improvviso si fosse fermato.
Perché quello sconosciuto stava fissandola con due occhi blu che appartenevano ad un altro uomo? E perché aveva sul volto quell’ espressione sorpresa, immobile, come se il respiro non gli andasse né su né giù, esattamente come stava succedendo a lei? "
― Viviana Giorgi , Ritorno a Cape Love
4
" I tacchi di Bella risuonavano impertinenti sul corridoio di finto marmo. Dodici centimetri. Semplicemente un altro strumento per non sentirsi persa, e non solo fisicamente, in un mondo di gargantua. Temibili, paurosi gargantua.
Per Bella riuscire a fissare il prossimo negli occhi – quasi negli occhi in caso di superamento della barriera dei 180 centimetri – era una necessità e spesso ci riusciva solo grazie alle Jimmy Choo o alle Manolo, un fringe benefit che la sua posizione di responsabile della moda del Denver Tribune le assicurava. Gli stilisti, compresi Choo e Manolo, la omaggiavano delle loro ultime creazioni? Lei certo non le rifiutava.
Come ogni mattina alle nove si infilò nell’ascensore più per darsi una controllatina allo specchio che per risparmiarsi la rampa di scale che la separava dall’ultimo piano, quello della direzione.
Sì, era tutto a posto, camicetta di seta bianca e gonna nera, più le Jimmy Choo di vernice rossa da togliere il fiato. Capelli castani appena ondulati sciolti sulle spalle, perle alle orecchie e al collo, un po’ di mascara sulle ciglia a evidenziare i suoi occhi verdi, e labbra più rosse del diavolo, in perfetta nuance con le Jimmy Choo. Il solito travestimento, insomma, che l’avrebbe messa al sicuro da ogni tentativo dei suoi colleghi di irrompere nella sua vita.
Branco di animali.
E che la chiamassero pure Miss Algida o Ghiacciolo alla moda o, ancora, 32, sottintendendo Fahrenheit (ovvero il punto di congelamento dell’acqua), o Italian Job – lavoretto italiano – sottintendendo qualcosa di più volgare, la cosa non la toccava per nulla. Forse solo un pochino, ma se ne infischiava.
L’ascensore si fermò e le porte si aprirono portando sino a lei il vocio dei suoi colleghi, probabilmente intenti a bere caffè e a rimpinzarsi di ciambelle. Dio! Sembrava che non vivessero che per i carboidrati, quando lei… "
― Viviana Giorgi , E infine la Bestia incontrò Bella
5
" Maggie chiuse gli occhi e contò sino a dieci.
Uno, due, tre…
Se voleva arrivare a casa di sua sorella prima che facesse notte, non aveva altra scelta che chiedere al cowboy di accompagnarla. Certo, avrebbe sempre potuto optare per il motel e attraversare quelle duecento iarde pullulanti di lupi.
Un altro ululato.
No, non avrebbe potuto.
«Lupi» disse Mitch, il braccio sinistro che sporgeva indolente dal finestrino, il mozzicone del sigaro stretto tra le dita.
«Lupi» ripeté lei con un’alzata di spalle, come se si trattasse di barboncini addestrati. Poi mosse un paio di passi esitanti verso il pick-up. Quell’affare era così alto che dovette allungare il collo e sollevare la testa per parlare al cowboy. «Mi chiedevo…» mormorò vincendo ogni residua resistenza.
Lui rimase immobile, se non per il sopracciglio sinistro che scattò verso l’alto.
«… se per caso tu non potessi darmi uno strappo.»
Lui finse di prendere in considerazione la cosa. Poi, con un altro sbuffo di fumo, disse: «Mi sembrava che avessi rifiutato la mia offerta, dieci minuti fa...».
«Perché non intendevo esserti di disturbo» rispose lei come se si stesse rivolgendo alla duchessa di Kent.
E di fatti lui scoppiò a ridere. «Essermi di disturbo? Dopo avermi assalito come un ninja? Ma sarò magnanimo. Dai, sali.»
Maggie tirò un sospiro di sollievo. Era così stanca e infreddolita che anche quel pick-up scassato le parve per un istante una limousine.
«Dove metto la valigia?»
«Buttala dietro, nel cassone.»
Buttare nel cassone la sua Samsonite rosa, costata una cifra improponibile?
«Preferirei sistemarla in cabina, se non ti spiace.»
«In cabina non c’è posto, qua dietro è pieno di roba. A meno che tu preferisca viaggiare nel cassone e la valigia sul sedile…»
Lei rimase zitta, gli occhi sgranati, per nulla certa che quella fosse solo una battuta.
«Ok, ci penso io» tagliò corto lui, aprendo la portiera e scivolando a terra con un balzo. Afferrò il trolley per la maniglia e, senza un’altra parola, lo fece volare nel cassone.
Oh!
Il botto risuonò nelle orecchie di Maggie come una granata.
Risistemandosi lo Stetson sulla testa, il cowboy girò intorno al pick-up e con un sorriso esagerato aprì la portiera del passeggero.
«Sali, sorella di Suzie, o vuoi che dia una mano anche a te?» "
― Viviana Giorgi , Tutta colpa del vento (e di un cowboy dagli occhi verdi)
6
" Un altro giorno stava per incominciare.
Un altro giorno che si sarebbe spento in un’altra notte.
La sua vita era un susseguirsi inutile di secondi, minuti e ore senza luce. Non c’era più luce in lui, né fuori di lui.
Forse non era più neppure un essere umano. Forse era diventato una bestia. Sì, doveva essere così, almeno a giudicare dai peli che gli coprivano il volto e dai ringhi e grugniti con i quali ormai si esprimeva nella vana speranza di tener lontano il mondo.
Ray predatore Raider fece per alzarsi dal divano che era diventato la sua zattera di salvataggio, ma ricadde pesantemente sui cuscini lasciando andare un sospiro disperato.
Il male al ginocchio, da quando aveva interrotto gli antidolorifici, era insopportabile, ma almeno gli permetteva di rimanere lucido e di non dimenticare.
Bussavano alla porta, ecco perché si era svegliato dal suo torpore.
Anne, probabilmente, e la sua mania di portargli da mangiare quando lui avrebbe voluto solo bere.
Si sdraiò di nuovo sul divano e si coprì la testa con un cuscino. Avrebbe finto di dormire, sì, e Anne se ne sarebbe andata. "
― Viviana Giorgi , E infine la Bestia incontrò Bella
7
" Il pastore augurò Buon Natale, il coro riprese a cantare e l’organo a suonare. Fu in quel momento che Maggie sentì che lui era vicino. Si girò appena e lo vide.
Se ne stava in piedi nel corridoio centrale, a qualche passo da lei, lo Stetson fra le mani, un’espressione indecifrabile sul volto.
Il sangue prese a correrle troppo veloce nelle vene e, per quanto faticasse ad ammetterlo, si sentì così felice che un sorriso le illuminò il volto, come se lui fosse tornato a casa dopo un lungo viaggio.
Già, quale casa?
Mitch, invece, rimase di pietra, come se la chiamata di Maggie non fosse che un’altra scocciatura da risolvere.
Il sorriso si spense poco per volta sulle labbra di Maggie e gli occhi, prima ridenti, si strinsero in uno sguardo interrogativo.
Se il cowboy preferiva che fra loro ci fosse il gelo, che gelo fosse. Non era obbligata a sorridergli, in fondo, né a far conversazione. Lo avrebbe solo ringraziato per il passaggio e poi, estranei come prima.
Mitch le fece cenno con la testa di seguirla e, senza neppure aspettarla, ruotò su se stesso e si incamminò verso l’uscita del tempio. Maggie sentì il suo amor proprio reagire all’atteggiamento scostante di Mitch, ma decise di fingere un’indifferenza e una calma che non provava; si prese il tempo necessario per ringraziare i signori Curtis e per salutare le altre persone che, come lei, erano in fila verso l’uscita. "
― Viviana Giorgi , Tutta colpa del vento (e di un cowboy dagli occhi verdi)
8
" Ken fece un respiro di sollievo ricordandosi all’improvviso dei libri che aveva richiesto. Mai come in quel momento si era sentito tanto attratto dalla pace di una lettura solitaria. Jim aprì la porta e lui, rincuorato da quel pensiero, nel medesimo istante saltò fuori dal suo nascondiglio come un fauno dal bosco.
La donna, che se lo vide apparire davanti all’improvviso, ancora tutto scompigliato e rosso in viso a causa dell’esercizio fisico, dovette spaventarsi, perché prima lanciò un urletto sorpreso – e molto aggraziato, per la verità – poi i libri, che finirono in aria e quindi sul pavimento.
Anche Ken sussultò a quella reazione esagerata, lasciando al solo Jim l’onore di mantenere i nervi saldi.
Col cuore che gli batteva troppo forte nel petto, fissò la donna sbigottito.
Chi diavolo aveva mandato quel Jenkins a consegnargli i libri? Una pazza?
La giovane donna, mormorando delle scuse imbarazzate, si era nel frattempo inginocchiata a terra ed era impegnatissima a raccogliere i volumi caduti, la gonna blu aperta intorno a lei come una corolla. Ken non poteva vederle il viso, ma il collo sottile di lei e i suoi capelli neri come la notte, per quanto raccolti in uno severo chignon, lo indussero a domandarsi se il volto fosse altrettanto perfetto. E, senza esitare, fece qualcosa che il vecchio Ken non avrebbe mai osato fare: si chinò, afferrò la donna per le braccia, la sollevò e, senza delicatezza e con molta curiosità, scrutò negli occhi di lei.
Occhi così blu che mai prima in vita sua ne aveva visto di uguali. "
― Viviana Giorgi , Un amore di inizio secolo: La traversata
9
" Quella era una fine d’anno speciale, dopotutto, e le speranze e i timori per il futuro di ognuno sembravano affiorare in quei pochi minuti che precedevano l’arrivo del nuovo secolo.
Tenendosi per mano, gli ospiti si disposero a cerchio, pronti a intonare le dolci note di Auld Lang Syne, I bei tempi andati, come voleva un’antica tradizione britannica diffusasi anche nel Nuovo Mondo.
Le spalle all’ingresso del salone, come gli altri emozionata e incerta per il domani, Camille prese posto tra i Campbell.
«Sarà un fantastico secolo il 1900, Camille, e tu lo percorrerai a testa alta, mia cara» le disse Agnes sorridendole.
«Due minuti, signori, due minuti!» urlò il giudice Harris.
Le voci si alzarono festose, per poi morire di nuovo. Il grande cerchio era ora immobile, in silenziosa attesa.
Anche i camerieri avevano interrotto il loro lavoro e l’orchestra taceva.
«Trenta secondi al nuovo secolo!»
«Venti secondi!»
Camille all’improvviso sentì la testa girarle e il cuore battere impetuoso contro il petto: Mr Campbell, alla sua destra, aveva lasciato che un’altra mano, più forte e più grande, stringesse la sua.
Non capiva di chi fosse quella mano, perché Agnes sorridesse, perché tutti, in quel cerchio festoso, la guardassero. O meglio, lo capiva perfettamente ma temeva che se si fosse girata, se avesse guardato l’uomo che aveva preso il posto di Mr Campbell nel cerchio, quel sogno si sarebbe interrotto.
«Cinque secondi al nuovo secolo!» sentenziò il giudice Harris.
«Quattro, tre, due, uno! Buon anno!» esclamarono tutti, all’unisono.
L’orchestra intonò le prime battute di Auld Lang Syne e gli ospiti incominciarono a cantare.
Camille si girò con lentezza infinita verso l’uomo che stringeva con forza e dolcezza e speranza la sua mano. L’uomo che la stava guardando sorridente, felice come un ragazzino. Era fradicio e aveva gli occhi lucidi.
E cantava.
Camille non disse nulla e si unì al coro, mentre lacrime di gioia le scivolavano sul viso.
***
Quando la musica terminò il cerchio non si ruppe subito. Tutti rimasero immobili a osservare la scena che si svolgeva davanti a loro. Frank Raleigh, il solito anticonformista, gocciolante e vestito come un mandriano, se ne stava in ginocchio davanti a Miss Brontee con in mano un solitario dalle notevoli dimensioni. Nessuno ebbe dubbi su cosa le stesse chiedendo.
Miss Brontee lo fissava a bocca aperta, gli occhi tondi di sorpresa, il petto che si alzava e si abbassava troppo in fretta, il volto pallido.
«Allora, Miss Brontee, dite di sì a quel poveretto prima che si prenda una polmonite!» esclamò burbera un’anziana signora, rompendo la tensione di quel momento.
Tutti scoppiarono a ridere.
«Sì, Miss Brontee, ditegli di sì. Almeno metterà la testa a posto!»
«Ti prego, Camille, dimmi di sì» implorò Frank in un sussurro.
Camille deglutì, si guardò intorno come per chiedere consiglio ai presenti, incontrò lo sguardo di Agnes e di Mr Campbell, che insieme assentirono. Poi guardò Raleigh e semplicemente rispose: «Sì!»
La sala esplose in una girandola di congratulazioni, poi altro champagne fu stappato e i brindisi al nuovo secolo e ai promessi sposi si rincorsero.
Mr Raleigh, indifferente al centinaio di persone che li stava fissando, si era intanto rialzato e tenendo Miss Brontee stretta tra le braccia le mormorava parole che tutti i presenti avrebbero voluto udire ma che giunsero solo al cuore di Camille. "
― Viviana Giorgi , Un amore di fine secolo
10
" Piera, la protagonista di Vuoi vedere che è proprio amore?, è una giovane donna che lavora. Professoressa di inglese alle medie, vorrebbe diventare fotografa...Chissà se ce la farà?
Ecco un breve estratto. Lui, Jean, si presenta non invitato a casa sua e lei, dopo molti se e ma, lo porta nella sua camera oscura. Non pensate male! O forse pensatelo.
"La seguì in una stanza illuminata solo da un paio di lampadine rosse. Un altoparlante collegato a un iPod stava diffondendo la voce di Paul McCartney.
Hey Jude.
Che fosse un segno del destino? Non che lui credesse a certe baggianate, ma quella era una delle sue canzoni preferite, di sempre.
«Ti piacciono i Beatles?» le chiese fingendo un’indifferenza che non provava.
«Oh sì. In genere adoro il rock classico. Ma i Beatles…»
«Sono i Beatles. Punto.»
«Punto, sono d’accordo. E Revolution è un grande album!»
«Sei una donna piena di sorprese» disse, pensando al genere di musica scadente che piaceva a Jasmine.
«Io? Piena di sorprese?» domandò ridendo, nello sguardo un luccichio improvviso.
Nonostante la luce rossa, fu quasi certo che Bambi fosse arrossita, e a lui piaceva da morire quando lei arrossiva. I suoi occhi sembravano diventare più grandi e lei cominciava a mordicchiarsi il labbro inferiore. Come stava facendo in quel momento.
«Benvenuto nella mia tana di fotografa dilettante» aggiunse lei dopo un istante.
Jean si guardò intorno. C’era tutto l’occorrente per sviluppo e stampa. Alcune foto in bianco e nero erano pinzate con mollette da bucato a una corda che correva da una parte all’altra della stanza. Come biancheria ad asciugare.
«Sono meravigliato» esclamò guardandosi intorno. «Una camera oscura in piena regola! Non posso credere che con la comodità del digitale tu ti dia tanta pena a far tutto da sola…»
«Al contrario, adoro farlo. È il mio hobby segreto. E poi, solo così ottengo esattamente ciò che voglio. O quasi. Non nego che spesso qua dentro combino dei veri pasticci, ma chi non ne combina?» "
― Viviana Giorgi , Vuoi vedere che è proprio amore?
11
" Primo giorno di navigazione
1 gennaio 1900, al largo della Costa Orientale degli Stati Uniti
«Mr Benton, l’accompagno al suo posto al tavolo del comandante.»
Con un piccolo cenno di ringraziamento, Ken seguì lo steward nella sfarzosa sala da pranzo dell’Oceanic II, tutta marmi, specchi e lampadari di cristallo, sino al tavolo centrale imbandito con una tale quantità di bicchieri e posate da mettere probabilmente in soggezione più di un commensale. Durante la traversata avrebbe diviso i pasti con il comandante, Mr Cameron, il suo vice, il medico di bordo e una ventina di passeggeri di prima classe, considerati, per varie ragioni a lui poco comprensibili, importanti.Ne aveva ricevuto l’elenco completo solo pochi minuti prima dal valletto che era andato a prelevarlo nel suo alloggio, per scortarlo, come un secondino, sino alla sala da pranzo: un trattamento di riguardo per i viaggiatori importantiche occupavano le suite del ponte principale del transatlantico.
In realtà, Ken aveva sperato di poter trascorrere i cinque giorni della traversata da solo, a elaborare la delusione e a piangere sulla sua vita che non sarebbe trascorsa al fianco della donna che ancora amava disperatamente. E invece… era stato catapultato in un mondo dove gli obblighi sociali sembravano essere ancora più assillanti che sulla Quinta Avenue.
Forse, a pensarci meglio, da domani avrebbe deciso di consumare tutti i pasti chiuso nella sua cabina, servito da Jim, il suo valletto. Forse ci sarebbe rimasto per tutti e cinque i giorni, chiuso nella sua cabina.
Con l’umore nero che si ritrovava, che a dire il vero rasentava la disperazione, non aveva alcuna voglia di sorridere e scambiare chiacchiere inutili con un gruppo di spocchiosi aristocratici britannici e di suoi connazionali milionari, tutta gente che frequentava l’alta società della East Coast e Wall Street; come lui stesso, del resto. Sperò almeno di sedere vicino a uno degli ufficiali di bordo, in modo da poter intrattenere una conversazione che andasse al di là degli ultimi pettegolezzi. Compreso quello che probabilmente si era già diffuso in tutta New York e che riguardava la patetica rottura del suo fidanzamento con Camille Brontee.
Dannazione! Se qualcuno gli avesse chiesto qualcosa a proposito, o vi avesse solo accennato, la tentazione di rifilargli un bel cazzotto sul naso sarebbe stata enorme. Si guardò la mano destra, ancora dolorante a causa del pugno che solo il giorno prima aveva tirato in faccia a Frank Raleigh, l’uomo per cui Camille lo aveva lasciato. "
― Viviana Giorgi , Un amore di inizio secolo: La traversata
12
" Pur essendosi ormai rassegnata a tenere il cappello fermo con la mano destra, con la quale reggeva pure l’ombrellino e una piccola borsa di velluto blu, Miss Portland procedeva spedita, lo sguardo fisso a terra, ormai a pochi metri dal calesse di Maylon.
E lo avrebbe superato senza prestare alcuna attenzione, né all’uomo che lo guidava né al cavallo che lo tirava, se l’ottavo conte di Maylon non ne fosse smontato con un salto e non le si fosse parato davanti sbarrandole la strada.
«Miss Portland, è un piacere insperato incontrarvi.»
Sophie sussultò e sollevando lo sguardo si trovò di fronte quell’uomo. Che nelle ultime due settimane tante volte era riuscita abilmente a evitare.
Lo fissò senza nascondere la propria sorpresa e, con un semplice «Lord Maylon» e una frettolosa riverenza, si apprestò a proseguire il proprio cammino. Tentativo sprecato, perché lui, di nuovo, le si parò davanti.
Che cosa voleva da lei?
«Ho appena fatto visita alla vostra madrina, illudendomi di incontrarvi, Miss Portland. Ma è evidente che non ho avuto questa fortuna. Così, quando vi ho vista, ho sperato che mi avreste fatto l’onore di lasciarvi ricondurre a casa.»
La mano ancora sul cappello, il pericoloso ombrellino puntato verso di lui come una lancia in resta, Sophie socchiuse gli occhi come per osservarlo meglio e, senza giri di parole, gli chiese: «Per quale ragione, Lord Maylon, vorreste ricondurmi a casa, quando sono quasi arrivata?»
***
Tutte le risposte che vennero alle labbra di sua signoria non avrebbero potuto essere riferite a Sophie senza il ricorso a imbarazzanti spiegazioni.
Se le avesse detto che voleva riaccompagnarla a casa per poter rimanere finalmente solo con lei, anche se per pochi minuti, avrebbe dovuto spiegarle anche il perché di quel desiderio. Avrebbe dovuto confessarle che da quando si erano incontrati non faceva che pensare a lei. Con un’intensità fastidiosa e insistente, tanto da non essere più riuscito a guardare né tantomeno a toccare un’altra donna.
No, questa spiegazione era fuori luogo, l’avrebbe scandalizzata: era una debuttante, dopo tutto.
Avrebbe potuto dirle che voleva respirare il suo profumo, che sapeva di mughetti e viole, gioire del suo sorriso coinvolgente e pericolosamente sensuale, sentirsi circondato dalla vitalità e dal calore che il suo corpo sprigionava, ascoltare la sua voce e perdersi nei suoi occhi.
Scartò anche questa ipotesi, ritenendo che tale risposta avrebbe potuto apparire a Miss Portland non solo esagerata ma del tutto sciocca.
Quindi, con tono rude e sguardo severo, si limitò a fornirle più che una sola motivazione, un intero elenco di ragioni inappuntabili.
«Primo, perché è tardi, Miss Portland, e Lady Rumphill era molto preoccupata che non foste ancora rientrata a casa. Secondo, perché la borsa che portate è talmente pesante che, se non ve ne liberate subito, domani avrete difficoltà a muovere le braccia... a proposito, quando contate di leggere tutti quei libri, Miss Portland?... e, terzo, perché altrimenti finirete col perdere quel delizioso cappello di paglia che a quanto pare non vuole rimanervi sulla testa. Forse perché la vostra testa è talmente dura da scoraggiare anche un cappello. Allora, salite o devo convincervi in altro modo?»
«È questo che pensate della mia testa, my lord?» gli rispose lei, le labbra arrotondate in un Oh! oltraggiato.
«Questo, e molto altro.»
«Non oso davvero chiedervi cosa intendiate per molto altro, ma presumo sia meglio evitare di darvi quest’ulteriore soddisfazione.»
E mentre diceva queste parole, docile docile Miss Portland gli permise di aiutarla a salire sul calesse, mentre lui, pur sorpreso dalla resa di lei, ancora sogghignava per quella risposta tagliente.
*** "
― Viviana Giorgi , Zitta e ferma Miss Portland!
13
" La mia novella di Natale, Un Cuore nella Bufera, inizia così...
Mi sveglio di soprassalto, gli occhi spalancati nel buio, la notte rischiarata dal bagliore della neve che fuori continua a cadere. Trattengo il respiro, quasi in preda al panico. Non oso muovermi.
Qualcosa non va.
Mi faccio coraggio e giro appena il viso.
Qualcosa decisamente non va.
C’è un uomo incollato alla mia schiena. Il suo braccio destro mi stringe la vita, la sua mano avvolge il mio seno e che io sia dannata se quello che sento premere contro la mia schiena non è il suo…
Oh.Mio.Dio!
Mi alzo di scatto, accendo la luce del comodino e sbalordita fisso l’intruso. Mugugnando, quello si volta dall’altra parte, innocente come un serafino. Il suo cane-orso, ai piedi del letto, apre un occhio, poi riappoggia il grosso muso sulle zampe e riprende a russare. Il mio sguardo passa da uno all’altro senza posa, mentre invano cerco di respirare. Finalmente un refolo d’aria s’infila lungo i bronchi e cede ai polmoni l’ossigeno necessario affinché io possa elaborare una domanda sensata.
Che cavolo ci fa Kyle Hartson nel mio letto? "
― Viviana Giorgi , Un cuore nella bufera
14
" «Mancano venti miglia a Limerick» disse, mostrandosi molto interessata al percorso.
«So leggere i cartelli, grazie» rispose lui, gelido.
Piera sbuffò. «Volevo solo rendermi utile, non mettere in dubbio le tue doti di maschio alfa!»
La frase le uscì male, provocatoria senza volerlo essere, e infatti, piccato, lui emise un ah! alquanto sarcastico e batté il pugno con violenza sul volante, facendo suonare il clacson.
Piera sussultò, sorpresa se non spaventata.
«Mi sento di tutto, ti assicuro, tranne che maschio, alfa, beta o delta che sia.»
Ecco, ci siamo.
«E per il quieto vivere» proseguì lui, «farò persino finta che la notte scorsa tu non mi abbia trattato come un sex-toy…»
Questa volta un ah! sarcastico uscì dalle labbra di Piera. «Un sex cosa? Scusa, non ho capito bene.»
«Un sex-toy.»
«Non so neppure cosa sia.»
«Non ne avevo il minimo dubbio.»
«Lo prendo come un complimento.»
«Prendilo come vuoi. Coniglietti, AH!»
«Cosa c’entrano i conigli, adesso?»
«Lascia perdere.»
«No, spiegati, per favore.»
«Una che dorme con dei conigli addosso non può certo sapere cosa sia un sex-toy.»
«Ohhh! La mia camicia da notte non è di tuo gusto? Va’ al diavolo, Jean!» "
― Viviana Giorgi , Vuoi vedere che è proprio amore?
17
" Dio, che stupido era stato a lasciarsi andare alla collera! Non era così che sarebbe riuscito a proteggerla. Perché, se non poteva averla, almeno avrebbe fatto di tutto per tenerla sotto la sua ala protettrice, come un pulcino indifeso.
Per la verità, più che un pulcino indifeso in quel momento gli parve una gatta pronta a graffiare.
Quando si decise a parlare, la sua voce uscì controllata e bassa.
«Camille, state prendendo questa storia del giornalismo troppo seriamente…»
La lingua di lei scattò come una lama acuminata.
«Dal momento che mi pagate per farlo, dovreste esserne soddisfatto.»
Già.
Frank scosse la testa, irritato dalla logica inattaccabile di lei, poi si alzò e si sedette al suo fianco, abbastanza da poterne respirare il calore e il profumo.
Per un istante temette che se ne andasse, ma invece rimase ferma, le mani in grembo, lo sguardo basso.
«Voi non potete capire, Mr Raleigh…»
«Cosa, di grazia?»
«Cosa questo lavoro significhi per me…»
Lui deglutì, cercando di non rispondere in modo affrettato, cercando di assorbire ogni più piccolo particolare di lei. Le mani sottili, la nuca bianca disegnata da alcuni riccioli sfuggiti allo chignon, il profilo perfetto, le lunghe ciglia, il seno armonioso che si muoveva al ritmo del respiro accelerato.
Sospirando, si passò la mano fra i capelli e distolse lo sguardo prima che gli saltassero in testa delle pessime idee.
«In effetti, non riesco a capire cosa significhi per voi. Non è che un lavoro, in fondo. Spiegatemelo, vi prego, Miss Brontee.»
Con lentezza Camille si girò verso di lui, gli occhi che brillavano. «Ecco… significa tutto.» "
― Viviana Giorgi , Un amore di fine secolo
19
" Da Un Amore di Fine Secolo.
In un palco di proscenio alla Metropolitan Oper House di New York.
Frank Raleigh sedeva alle spalle di Camille e, come ipnotizzato, faceva correre con lentezza gli occhi su quanto la sua vantaggiosa posizione gli offriva. Capelli di seta, una nuca da accarezzare, spalle tonde e perfette, una schiena elegante e sinuosa avvolta in un abito che, nella sua mente, Camille avrebbe dovuto indossare solo per lui e poi togliersi, solo per lui. Ma era sul collo di Camille che il desiderio di Frank Raleigh si era soffermato durante il primo atto di Traviata: così delicato e bianco, un’irresistibile tentazione per le sue labbra.
Il valzer finì, l’atto finì, il sipario si chiuse. E, per una frazione di secondo, il teatro fu avvolto da un buio morbido come il velluto. Fu in quel momento di totale, invitante oscurità, che Frank Raleigh agì con l’istinto aggressivo del predatore che era. Calò le labbra sul collo di Camille e ne assaporò senza delicatezza la morbidezza e il profumo, lasciandole un segno rosso e umido di desiderio sulla pelle.
Nel buio del teatro risuonò un esterrefatto e alquanto sgomento «Oh!»
E quando dai globi di cristallo la luce riapparve tremula a illuminare la grande platea, Frank Raleigh sorrise fra sé, soddisfatto del suo gesto sconsiderato e poco signorile. Perché, nell’espressione di Camille, che ora lo fronteggiava rossa in viso, furiosa e intimorita, aveva percepito la luce inconfondibile del piacere.
«Non osate mai più fare una cosa del genere» sibilò lei a labbra strette, mentre con la stola di seta tentava di celare il marchio che le labbra di Raleigh le avevano impresso sulla pelle.
«Al contrario, oserò ancora» sussurrò lui, piegandosi appena appena verso di lei mentre applaudendo fingeva entusiasmo per gli artisti. «E non immaginate neppure quanto vi piacerà.» "
― Viviana Giorgi , Un amore di fine secolo