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" El discurs sobre la identitat, per als sards, és sempre viu i molt sovint aspre, com sol passar en les cultures negades. A Michela Murgia, però, la paraula «identitat» no li agrada. Massa fàcil associar-la amb l’idèntic, allò que es queda sempre igual, que ha perdut el potencial d’evolució. D’aquí a l’extinció només queda un petit pas. La paraula clau, per a ella, és «pertànyer». El de pertinença és l’únic sentiment que justifica el vincle que et fa sentir d’un lloc, per sempre, vagis on vagis. "
― Michela Murgia , Accabadora
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" L’escriptura pot fer aquesta màgia: portar el més particular fins a aquella puresa, aquella alçada, que el fan universal, un patrimoni de tots. L’especificitat dels mots, dels girs, únics per a cada idioma, certament és important; però el llenguatge serveix per explicar històries, i són aquestes les que ens marquen el caràcter, i algun cop ens pareixen de nou. Els relats, per a qui no ho sabia, són també un territori al qual la persona pot pertànyer. "
― Michela Murgia , Accabadora
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" L’idea che l’esperienza del materno debba rendere piú umane le donne eccellenti ha come contraltare il fatto che le donne che scelgono di non essere madri sono invece raccontate o sottintese come creature disumane, mancanti della parte piú realizzata della loro essenza. La donna potente, se è madre, sembra far meno paura a chi il potere lo ha visto fino a quel momento solo in mano agli uomini, il cui essere padri o meno ovviamente non ha mai fatto alcuna differenza sul loro grado di ferocia. L’ossessione della mammizzazione delle donne che arrivano all’apice è parossistica nei media italiani. Dallo sport alla politica, dal cinema all’economia, dalla scienza all’arte, ogni donna che si trovasse a raggiungere risultati tali da costituire notizia si sentirà chiedere se ha un marito e dei figli o se li ha dovuti «sacrificare» sull’altare della sua eccellenza. La domanda sulla conciliazione tra lavoro e famiglia è un must di ogni intervista alla donna di successo, mentre nessuno si sogna di
rivolgerla a un uomo al culmine della carriera. Ma se anche glielo si chiedesse, un uomo potrebbe tranquillamente rispondere che vive per il suo lavoro, perché uno che mette il lavoro prima di tutto il resto è l’indefesso leader che ogni azienda vorrebbe sulla sedia da amministratore delegato, mentre una donna che facesse lo stesso sarebbe giudicata insensibile e spietata; [...]
In questo discorso c’è un’implicita nota di colpevolizzazione sociale agita contro le donne che, per qualche ragione, hanno scelto di lavorare e non avere figli. Il dato viene evidenziato come un’anomalia, perché, anche se i risultati personali vengono raccontati come azioni vincenti, l’assenza di prole resta qualcosa da dover motivare. "
― Michela Murgia , Stai zitta
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" La cultura dello stupro vive del pregiudizio che se una donna dice no vuol dire forse e se dice forse vuol dire sí, per cui niente di quello che afferma in relazione alla sua volontà ha in realtà un valore fattuale.
[...]
«Ma io non volevo essere molesto, era solo un complimento». L’idea che non siano le sue intenzioni a configurare la molestia gli è del tutto estranea. Se un uomo pensa: «Ho scritto un messaggio osé» e la donna che lo riceve pensa: «Ho ricevuto un messaggio molesto», chi ha ragione? Chi decide la natura dell’approccio? La risposta giusta dovrebbe essere sempre e solo una: decide chi lo riceve.
Sembra ovvio, ma nelle società dove il consenso è considerato implicito al punto che chiederlo non è necessario, il rifiuto risulta incomprensibile e scatena aggressività e frustrazione. Cosí la donna che dovesse dire che quel tipo di attenzioni non le sono gradite finirà facilmente per sentirsi dare della frigida, della snob, dell’arrogante, della superba, della furba che mette in mostra le grazie e poi fa l’ingenua, ma anche della puttanella che fa eccitare gli uomini per poi negarsi. È difficile decidere di opporre resistenza quando sai già che alla fine la stronza sarai tu e lui il galantuomo che ti ha solo fatto un complimento. "
― Michela Murgia , Stai zitta
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" non è un playboy quello che fa un complimento da una macchina, ma un estraneo convinto di avere il diritto di esprimere sul tuo corpo un parere che non gli hai assolutamente richiesto. Non sono complimenti i fischi dai finestrini: è cat calling. Basta romanticizzare la molestia definendo il molestatore playboy, corteggiatore, innamorato, invaghito, sedotto o conquistato. Basta sessualizzare la violenza con termini come osè, sexy, hot, hard, bollente, sfrenato, selvaggio o passionale. "
― Michela Murgia , Stai zitta