Home > Work > La palude definitiva
1 " Il cavallo: da che siamo giunti a questa casa, il cavallo si è appartato; non saprei come altrimenti descrivere il suo contegno; esco dalla casa, e lo scorgo, lontano forse un centinaio di metri, immobile, il volto, così debbo chiamarlo, verso la casa, ma del tutto indifferente. Non è lontano, ma lo spazio che mi divide da lui è palude irrimediabile, e chiaramente mi vien detto non so da chi, che non debbo raggiungere quel cavallo. Posso solo guardarlo, e chiedermi che mai sia. Ora so per certo che non ha nulla a che fare con i cavalli terrestri, e in qualche modo lo so coinvolto nella qualità della palude; ma appunto questa qualità mi è ignota. Né so, e questo forse è essenziale, che cosa sia questo cavallo in assenza di me, e anzi se io ed egli non formiamo non già una coppia, ma un individuo binario, fatalmente congiunto e non solo giustapposto. Giacché ho ben detto, io, che senza il cavallo non sarei mai giunto alla casa nella palude, e ciò è vero; ma non so se senza di me a questo cavallo sarebbe stato mai permesso di affrontare, e con tanta esattezza di piede, gli itinerari della mortale palude; se sono certo che il cavallo è il mio destino, non è impossibile che io stesso appartenga al destino del cavallo. Cavallo, cavallo; che strano nome per questo essere prodigioso, nel breve percorso prima di raggiungere la palude, ho provato a chiamarlo corsiero, e con quei nomi che usano, come Morello, o Baiardo. Ora rido a pensarci. A quei nomi non rispondeva, ma ora capisco che non v’è, non vi può essere nome cui risponda; e se ho tentato di non dirlo cavallo, ma corsiero, questo veniva dal mio desiderio di riconoscergli una qualità d’invenzione, quasi fosse uno dei tanti cavalli per eroi e dèi che frequentano i poeti mitici, a me una volta diletti. I “corsieri” non esistono nel senso quotidiano e terrestre, e dunque bene accadeva chiamare costui un corsiero; ma poi tutto questo si è disfatto come un gioco letterario, ed ora mi trovo a misurarmi con una metà della mia formula binaria, e tener testa a qualcosa di oscuro ma di essenziale alla definizione di questo luogo, non meno ignoto e certo dei miei predecessori, che forse il cavallo ha conosciuto, che forse lo hanno cavalcato attraverso la laguna, per gli stessi itinerari sull’orlo della morte. Ho detto: il cavaliere dell’apocalisse, ma il cavaliere aveva un cavallo, e se io sono per questa terra viva di animali, l’angelo della morte, quel cavallo non può avere minor dignità, né io di lui; siamo entrambi dèi letali? Frugo fra i miei ricordi scolastici e mi chiedo se io in verità non abbia a che fare con un cavallo, ma con la cavallinità. Ora, la cavallinità non può chiamarsi “Morello” né può essere corsiero, ma anche non mangerà nñe defecherà, né copulerà; e forse non è impossibile avere un qualche rapporto meditativo con la cavallinità, e forse anche a quella rivolgere la parola, anche se dubito che la cavallinità sia incline a rispondere. Ma l’idea che io non sia venuto a cavallo ma sul dorso della cavallinità – che spiegherebbe il suo innaturale silenzio – mi affascina; o forse è un gioco per resistere alla palude? "
― Giorgio Manganelli , La palude definitiva
2 " Quale di queste sorti sia la mia, io non capisco, e questo solo so, mentre lentamente procede la mia cavalcatura, che questa strada deve pure avere un termine, sia reggia, agguato, onorificenza, disastro. "
3 " Io stesso sono acquoso come questa larga piana invasa dai miasmi. Mi sono spesso chiesto che mai sarebbe essere dentro la palude; non come colui che viene avvolto dal fango, dalle sabbie omicide, ma come chi abiti per naturale disposizione all’interno della palude, come chi sia, per quel che può un mortale quale io sono, essere palude. È come essere morti? Talora il grigiastro acquitrino mi si spalanca davanti come un grande, esauriente cimitero. Qui tutti possono essere e saranno seppelliti, questa è la sepoltura definitiva, ed esservi dentro non sarà come essere morti, ma come essere il cimitero, forse come essere quei dèmoni inferi che nessuno ha visto, ma con i quali discorriamo da sempre. "