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1 " Nessuno parlò più e nessuno si mosse. Un silenzio innaturale li avvolse. L’orologio appeso alla parete continuava a ticchettare scandendo l’avanzare del tempo. Giorgia si ritrovò a fissarlo sperando che cominciasse ad andare all’indietro. I poliziotti rimasero fermi sulla soglia guardando in basso. La preside non si alzò dalla sua scrivania. Tenne i gomiti appoggiati al tavolo e la testa retta dalle mani. Gli occhi fissi su Giorgia abbandonata sulla sedia, con le dita strette ai braccioli. Da lontano si riuscì a udire un insegnante sbraitare contro uno studente che aveva fatto inciampare un compagno di classe. La preside pensò che avrebbe preferito avere mille di quei problemi, piuttosto che dare una notizia del genere a una sua studentessa. Un sospiro le scivolò fuori, involontario.(Dal Capitolo Primo) "
― Monica Gabellini , Fidati di me
2 " L’agente continuò con la sua spiegazione, ma ormai lui non lo stava più ascoltando.“Oh, mio Dio!” esclamò raddrizzandosi di colpo e facendo cadere la sedia all’indietro. Fu investito da un incredibile senso di colpa per non averle dato retta. Eppure Elena era sicura di essere in pericolo. E lui che aveva fatto? Niente! Era stato troppo preso ad aiutare i suoi clienti, invece che la propria sorella. “Mi dia l’indirizzo. Arrivo subito.”“No. Non è necessario che venga qua a vedere la scena. La chiameremo per il riconoscimento tra qualche ora.”“Se lo scordi, io vengo. Mi dica solo dove.”L’agente, titubante, gli diede l’indirizzo. Sapeva che stava disobbedendo a un ordine preciso: “Niente testimoni civili e niente stampa” ma quell’uomo aveva perso la sorella e, nei suoi panni, nemmeno lui avrebbe voluto essere escluso.(Dal capitolo secondo) "
3 " Per quel giorno, non aveva voglia di ascoltare suo nonno, quindi lo accompagnò a casa e passò il resto del pomeriggio a girovagare con l’auto senza una meta, aspettando l’ora in cui l’anziano si sarebbe coricato. Solo allora rincasò per sedersi sulla poltrona che una volta era stata di suo padre, con una bottiglia di whisky in mano. I ricordi si stavano facendo largo nella sua mente e lui li voleva annegare prima che riuscissero a riaffiorare. (Dal capitolo terzo) "
4 " Seduta davanti alla scrivania del fratello, la ragazza si mise le mani nei capelli, piangendo.“Ho paura!” disse.Daniele la osservò serio, pensando alle tante volte in cui si era sentito in dovere di proteggerla, nonostante fosse il fratello più piccolo. Lei era sempre stata bellissima, con i suoi lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, identici ai suoi. I ragazzi le stavano sempre appiccicati e, fin da giovanissimi, lei aveva sempre saputo che, se qualcuno l’avesse infastidita, Daniele l’avrebbe difesa. “Elena, stai tranquilla. Sai quante volte ho avuto a che fare con telefonate minatorie?”Lei scosse il capo asciugandosi gli occhi e il fratello proseguì: “Con il mestiere che faccio, mi capita ogni giorno. E spesso si tratta di sfigati che scappano non appena ci si avvicina a loro. Scoprirò chi è, e lo spaventerò al punto che verrà a chiederti scusa in ginocchio”.Elena sorrise. Lui sapeva sempre consolarla. Ma non quella volta. Nemmeno al fratello aveva avuto il coraggio di confidare in quale affare si fosse immischiata, pur sapendo che, se l’avesse fatto, lui avrebbe preso più seriamente la cosa. Il problema era che aveva davvero paura. Troppa paura. (Dal prologo) "