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" La tromba delle scale era buia. Fu colto da un vago senso di angoscia, a un tratto gli sembrò di non essere solo a salire quei ripidi gradini. Non c’era qualcosa che si muoveva nel buio? Passi silenziosi... ombre attorno a lui.
I morti, i morti di questa battaglia erano venuti anche loro, volevano assistere all’atto finale.
Appoggiato alla ringhiera c’era il vecchio ciambellano nella sua vestaglia rosso ciliegia e gli faceva un cenno col capo. - “Caduto in combattimento” diceva una voce, e per un istante Vittorin vide un volto infantile, il volto sorridente del conte Gagarin. Dal buio giunse in un sussurro la voce di Artemev: “È lei, compagno? L’ho aspettata. Adesso ci mostri che cosa sa fare”. -
Un leggero trepestio, un gemere e sospirare... erano i soldati rossi che lui aveva guidato all’assalto a Miropol’, sotto il fuoco di sbarramento, per via di Seljukov.
Erano venuti, gli si accalcavano alle spalle, pronti a seguirlo di nuovo.
Dalla finestra del pianerottolo la luce pioveva sulla scala, sulla ringhiera consunta, sull’intonaco bianco del muro. A passi grevi e lenti Vittorin salì gli ultimi gradini. Adesso era davanti alla porta.
Sulla targhetta lesse un nome che non gli diceva nulla, sconosciuto. Una paura improvvisa lo invase: forse arrivava troppo tardi - Seljukov non c’è, è partito ieri, e nessuno sa per dove... Ma mentre ancora rifletteva accadde che sentì filtrare dalla porta chiusa un odore delicato, strano, conosceva quell’odore, lo conosceva dai tempi della Siberia, del campo di Cernavjensk, era l’aroma del tabacco cinese, l’aroma delle sigarette di Seljukov, e chiuse gli occhi e con un senso di benessere inesprimibile aspirò il profumo di un giorno lontano.
Poi suonò.
Dietro quella porta, adesso lo sapeva, c’era Seljukov. "
― Leo Perutz , Tempo di spettri
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" Georg Vittorin sentiva un malessere doloroso, come se fosse sull’orlo di una grave malattia. Il suo segreto lo opprimeva. Ogni parola del padre e delle sorelle rivelava quanto fossero felici del suo imminente ritorno alla vita uniforme e regolata di un tempo. Era proprio il caso di distruggere questa loro illusione già oggi, il primo giorno? Con chi poteva confidarsi? Col padre? Forse sì, in gioventù suo padre era stato ufficiale, tenente in servizio effettivo; alla parete, sotto il ritratto della madre defunta, era appesa la sua sciabola, e lì accanto la foto di gruppo ormai ingiallita che lo ritraeva in mezzo ai compagni di reggimento. Doveva alzarsi e chiamarlo da parte? «Posso parlarti un momento, papà? Avrei qualcosa da dirti». - No. Da diciassette anni suo padre era impiegato alla sezione ragioneria del ministero delle Finanze. Tutte le mattine alle nove in ufficio, alle tre e mezzo in punto il pranzo, poi il giornale, poi la passeggiata quotidiana, la domenica quella «grande» verso Dornbach, durante la settimana quella «piccola» in centro, la sera il tavolo fisso al solito caffè oppure un bicchiere di birra lungo la strada: questo era il mondo di suo padre, così viveva da diciassette anni. No. Suo padre non doveva saperlo. "
― Leo Perutz , Tempo di spettri
20
" Abbiamo una rivoluzione alle spalle. E nella scia della rivoluzione vittoriosa sta marciando a ranghi serrati - è sempre stato così - la moneta cattiva. Cominciano col sangue, le rivoluzioni, e finiscono con un diluvio universale di carta. Lo Stato è strangolato da un deficit gigantesco, stanno per arrivare gli assegnati. Io non so se porteranno l’immagine della dea Libertà, di sicuro c’è soltanto che stanno arrivando. Il diluvio di moneta nuova manderà in briciole i vecchi patrimoni, distruggerà i diritti di proprietà: tutto quello che oggi invidiamo ai possidenti diventerà res nullius e apparterrà a chi sarà svelto ad arraffarlo. La guerra è finita solo in apparenza, da noi comincia adesso. Sarà una guerra spietata, una guerra di tutti contro tutti, e io, per quanto mi riguarda, ho intenzione di vincerla "
― Leo Perutz , Tempo di spettri