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" Fu un vero raccoglimento il mio, uno di quegl’istanti rari che l’avara vita concede, di vera grande oggettività
in cui si cessa finalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da
quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un’importanza
enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la
mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com’era stata più bella la mia vita che non quella dei
cosidetti sani, coloro che picchiavano o avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall’amore. Quando non avevo pensato alla mia donna,
vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l’illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti. "
― Italo Svevo , La coscienza di Zeno / Senilità